domenica 23 ottobre 2011

Amplific/azioni. Avere costanza

Prima di essere me ero più giovane.
Al posto delle ballerine rosse in suede portavo scarpe da skate e pantaloni oversize al posto dei collant ricamati.
Prima di essere così me come sono adesso ero più panchettona, il che comunque rassicura sulla visione schizofrenica di una donzella col cappotto anni Sessanta color fucsia che poga su un pezzo di Max Cavalera.
Ma prima di essere tanto me medesima, non avrei mai immaginato di fare quell'outing che a un po' tutti spetterebbe: in clima di cambio di stagione, pensate per un momento al vostro armadio di dieci anni fa, passate in rassegna i pezzi contenuti all'interno e quelli appoggiati all'esterno nell'era splendente del floppy disk. Ricostruite in quale stanza sorgeva il vostro guardaroba d'epoca e le persone che si appoggiavano alle di lui ante e, insieme a me, rabbrividite. Focalizzate l'attenzione su quella felpa che ancora vi portate dietro quando si alzano i primi spifferi. Ci siete ancora?
Dicevo. Sempre prima di essere così effettivamente me, andavo a certi concerti favolosi dei 24 Grana in cui il pubblico- più ferrato di un Millenote-, abitualmente saliva sul palco a scippare il microfono e il ruolo al cantante e poi, una volta scaraventato giù da qualche forzuto della sicurezza, chiedeva insistentemente un brano. Ripeteva come un sol uomo: "Francè, a custanz! A custanz!".
Dall'assiduità della richiesta tignosa, la scelta del brano non appariva casuale. Eppure una folla così determinata si univa, urlante e compatta, nel dubbio a squarciagola del ritornello: " Nun sacc' mai s'aggia avut a custanza, nun sacc mai, nun sacc mai".
Oggi a distanza di anni, davanti a un altro armadio, in un'altra stanza, con altre ante e altre persone, senza la buonanima del floppy disk ma con la felpa dei Sepultura sempre ammiccante, arriva l'autunno e con lui, ogni volta, la domanda retorica dei 24 Grana con la voce grassa del follone. Ogni volta. Ma perchè?

lunedì 28 marzo 2011

Qualific/azioni. Incontrare aggettivi nuovi.

Gli ultimi mesi degli anni zero e i primi acerbi degli anni dieci mi hanno fatto indossare nuovi sorprendenti aggettivi.
In lana cento per cento o in viscosa fino al sessanta, si presentavano tutti in fibra naturale in un elenco necessariamente sintetico.
Ho raccolto un "moralista" biasimando un attempato uomo di politica che pagava una diciassettenne per far sesso e, poi, un "fascista" nel pronunciare parole come "rispetto" e "responsabilità".
Sono diventata "patriottica" quando non mi è sembrato male festeggiare 150 anni di Unità e di sana e robusta Costituzione e, ancora, "maschilista" (!) affermando in una classe di conversazione d'inglese che le quote rosa altro non sono che un'ennesima forma di discriminazione.
Contro il nucleare? "Anti-moderna" e "retrograda". Già.
A questo punto, aggiungerei al conto "primitiva" perché fa sempre la sua porca figura.
In una vertigine di qualifiche improbabili, mi girava la testa e ho dovuto sedermi su una panchina a sognare acqua e zucchero e pensieri non pre-confezionati da parte dei sintattici compulsivi.
Può darsi si tratti unicamente di un uso improprio di aggettivi di tipo virale.
Sarà un'affezione della lingua che fa uscire le bolle sotto il palato alla parola "etica", una malattia della pelle che si combatte con le parole magiche "sei" insieme a "pesante". Due volte al giorno, lontano dai pasti.
Ma in un frullato di aggettivi pescati a caso dal dizionario, preferirei avere addosso quelli che mi affascino di più per suono e suggestione, come "ittica" o "giallognola", "romboidale" o "tentennante".
E soprattutto prendere anch'io parte al gioco mozzafiato dei sinonimi e contrari: "Che sole oggi! E' proprio una giornata eburnea!" oppure "Non mi sento tanto bene, credo di essere un po' fragrante". Vado bene?
Nella confusione generale, raccattare quegli aggettivi che mai potrei altrimenti avere, come "puntuale" o "bionda ossigenata" e, soprattutto, scrivere storie romantiche dal finale fotostatico:
-"E' stata una serata marmorea, spero di rivederti presto".
-"Sì anch'io. Sei veramente una persona autodidatta".

sabato 26 febbraio 2011

S/a(n)zioni. Travestirsi da Gheddafi

Lui non è grande, non è il profeta di nessuno è solo un pazzo criminale male abbigliato. Testardo e furioso all'inverosimile, è uno che non fa faccia.
Anzi, che non ha faccia.
Nel toto-Gheddafi dei giornali sul destino della Libia, il colonnello in foto appare tanto fedele a sè stesso quanto ogni volta diverso. Non riesco mai ad afferrare la sua faccia, a stamparmela bene in mente poichè ogni volta mi appare differente. Confronto ansiosa foto sui quotidiani, guardo video, cerco retroscena su Google e, con mio fratello, scopro che neppure il nome è autentico. Dal primo Gheddafi così giovane e simile a Julio Iglesias alla più recente controfigura di Renato Zero, passando per una serie di cappellini deliziosi: Gheddafi assomiglia sempre a qualcun altro, ma mai a sè stesso.
Il problema è aver preso la parola copricapo troppo alla lettera ( i pedissequi sono una piaga sociale).
Ma come Bowie lui è un trasformista, come Madonna dietro sè deve avere un personal trainer hollywoodiano di altissimo livello.
Se il viso aperto è comunicazione senza camuffamenti, allora dovrebbe bastare un viso non delineato a non fidarsi di qualcuno. Quando non c'è una faccia difficilmente c'è una medaglia.
Eppure il libico ora si dimostra faccia e pure tosta, tuttavia non escludo che all'interno del circo delle sue improbabili bizzarie, Gheddafi non abbia reclutato nel tempo dozzine e dozzine di sosia. Nell'epilogo disperato di un comandante senza terra, che alla resa dei conti si presenti però il colonnello in carne e ossa e non un suo stuntman con addosso un costume da carnevale. Semplice da realizzare ma di pessimo gusto.