mercoledì 29 settembre 2010

Incub/azioni. Sognare di tornare a scuola

Aprile è il più crudele dei mesi diceva T.S. Eliot -un grande nome puntato della poesia.
Per mio fratello G. M. invece è Settembre a vincere il premio crudeltà.
Se non esistono più le mezze stagioni e di ventotto ce n'è uno e tutti gli altri ne han trentuno, Eliot T.S. aveva sottovalutato il trauma collettivo che affligge l'umanità a qualsiasi latitudine sul finire dell'estate: il ritorno a scuola.
E non parlo solo del ritorno a scuola in senso stretto. Esiste anche un ritorno a scuola in senso figurato che corrisponde alla ripresa del ritmo lavorativo post-vacanza.
Tornare al lavoro, allora, rievoca l'antico trauma del primo giorno di scuola dopo tre mesi di lunghe mattine a giocare nel cortile e poi di battimuro, e di motorini e poi di batticuori. E lieve libertà e compiti delle vacanze mai fatti.
Non crediate di aver dimenticato quella sensazione da ritorno all'ordine: nel vostro inconscio è sedimentata e i dati istat dimostrano l'impennata nel mese di settembre dei compiti in classe e delle interrogazioni in sogno. Che momenti drammatici. Ma come abbiamo fatto a sopravvivere?
A.M., mia madre, insegnante, va scuola dall'età di quattro anni e mezzo. Lei ci tiene sempre a precisarlo. Quest'anno ha deciso di fare filone il primo giorno di scuola e poi anche il secondo (non fate i delatori perchè è arrivata pure la visita fiscale). Preoccupata ho dovuto chiamarla per dirle di andare a scuola.
Ma come posso darle torto?
Passeggiando per la città di B., mi è capitato di trovarmi sotto una finestra del mio ex liceo al quale rivolgo sempre in automatico un gestaccio morale. Tiè.
Dalla finestra proveniva la tipica voce cadenzata da interrogazione in piedi vicino alla cattredra. Quel ritmo lo riconoscerei tra mille: nananà nananà nananaà/nananà nananà nanananà. Che incubo. Non lo sentivo dall'epoca.
Turbata, nei giorni successivi ho iniziato a sognare compiti in classe su compiti in classe, corridoi su corridoi e quegli attaccapanni in fondo all'aula che non ho mai più rivisto altrove e che non dimenticherò mai.
E lì ho pensato che forse, dico forse, rimetterei piede nel liceo per rivedere da vicino quei favolosi attaccapanni anni novanta. Che attaccapanni!
Previo sempre catartico gestaggio morale.

martedì 14 settembre 2010

improvvis/azioni. Incoraggiare qualcuno a convertirsi all'ebraismo.

Città di M. vicino l'Europa ovvero il paese dei balocchi delle preposizioni semplici.
Qui moto a luogo, stato in- e moto per- vanno tutti in un'unica direzione:
IN Cordusio, IN Centrale, IN Cadorna. Ci vediamo A San Babila corrisponde a una bestemmia: santo subito quel ci vediamo IN San Babila.
Città della moda, location in, M. vicino l'Europa mette IN da tutte le parti. Altrimenti non è glamour.
"Ma è vagamente sgrammaticato" faccio notare dolcemente da Louis Vuitton, tempio haute couture IN Duomo, mentre il mio amico M. appioppa con gran classe una maxibag a due signori cinesi. In In In.
" Mi dica. Ha bisogno?... Isa, i cinesi pagano sempre in contanti, a volte con tanti, tantissimi pezzi da 20. I soldi dei russi vanno contati più e più volte altrimenti ti lasciano 100 euro in più. Gli emiri..." mi bisbiglia mentre fa finta di mostrarmi l'interno di una borsa che fingo di voler comprare.
"E per quanto riguarda i foulard invece?...Sì vabbè -gli faccio- ma tutto questo IN non sarà in esubero come le banconote dei russi?".
"Provi questo colore, le starà d'incanto!...Isa dai, il linguaggio è l'uso che se ne fa. Qui a M. si dice IN ".
Comprendere Wittgenestein da Louis Vuitton non ha prezzo.
Tutta la pelletteria intorno a me eccome.
"Non vuole provare le novità in vernice?..Ti lascio con la mia collega- sibila M.- vuole diventare ebrea. Sei perfetta per lei. Ciao."
Io non sono ebrea anche se ho lavorato del tempo con loro, ma lo facevo nel giorno di shabbat e le vecchiette mi guardavano storto.
Semplicemete non ne parlo male come tanti anzi ne ammiro alcune intelligenze formidabili e mi fa ridere Woody Allen.
La collega in questione è V., cubana, da 10 anni in Italia, da 15 religiosa da quando, nella Cuba in cui si andava in chiesa di nascosto,bambina decise di diventare protestante e portò tutta la famiglia atea comunista-comunista dalla sua parte.
Ora V. sente fortemente la spinta verso l'ebraismo, bussa alla porta del rabbino e viene rifiutata. Ma V. non si arrende, ritorna puntuale, aspetta fuori dalla sinagoga seduta al freddo o in piedi su tacchi Vuitton.
P., l'altra amica, le consiglia di snellire la pratica diventando testimone di Geova, ma V. non scherza: è determinatissima e vuole sapere come fare.
Il mio consiglio è quello di andare tre volte: al terzo rifiuto le sarà accordato sicuramente un appuntamento col rabbi. Sex and the city docet.
Nel frattempo V. ci elenca con gran foga lo studio che ha fatto della thorà e le pratiche così fedeli al testo da far impallidire lo stesso Abramo.
Tuttavia V. è piena di entusiasmo e quindi la incoraggio poichè se esiste l'inferno è fatto proprio per gli spegnitori d'entusiamo (girone dantesco).
E' peccato mortale.
Parliamo lungamente, tuttavia il nostro crescendo è spezzato da G..
G. per tutto il tempo è rimasto in silenzio travolto dal Vecchio Testamento finchè, prima di finire lui stesso costretto a fare testamento, all'ennesima pietanza kosher profetizza un sonoro "perfetto, ma ora dobbiamo andare a bere". E così sia.

domenica 5 settembre 2010

Folgor/azioni. Incontrare Wim Wenders

Qui a V., nel tempo speso a camminnare a perdersi e a tornare indietro, si incontra un po' di tutto, dagli uomini a righe con paglietta in testa ai giovani emo crescono, dalle strane creature con maschera e mantello nero ai piccioni agli ex sindaci con barba nera, dal turista modello basic al popolo delle Biennali con le tipica mise da addetto ai lavori. M chi l'addetto?
Tutti camminano insieme lungo lo stesso vicoletto che qui, però, non si chiama vicoletto, ma viene indicato secondo la personalissima lingua degli autoctoni che consente a parole come "sotoportego" e "cà" di riempire tranquillamente la segnaletica stradale da gioco dell'Oca voluta, e lasciata intatta da quel dì, direttamente dal Mercante di V.
L'uso delle doppie è bandito, pena la messa in un sacco e il lancio in laguna.
In queste stradine che però attenzione non si chiamano stradine, camminano fianco a fianco paesi lontanissimi ed epoche lontanissime con vertiginosi spiazzamenti spazio-temporali cui può seguire improvvisa caduta in laguna senza sacco.
In una sospensione generale si cammina così in un calderone (umidone) con la consapevolezza di poter incontrare Andrea Palladio o Orson Welles, il mio vicino di casa della citta di B. o George Clooney e reagire con la stessa nochalance che si ha nei guazzabugli improbabili dei sogni.
Colonna sonora: che anno è? Che giorno è? Questo è il tempo di vivere con te (il te è riferito a Cacciari ovviamente).
A V. tutto è possibile e così può capitare di imbattersi in un signore alto e coi capelli bianchi e strani occhiali, domandarsi se sia Palladio o il tuo vicino di casa, capire che non è Orson Welles, realizzare che non è proprio un belloccio alla Clooney, meditare allora su una vaga somiglianza tra questo signore e Wim Wenders... Inchiodare i piedi a terra e dire: "Cazzo, quello è Wim Wenders!". Chiudere la bocca rimasta spalancata.
A questo punto è veramente dura: in pochi secondi bisogna essere pronti e decidere se prendere l'arte o metterla da parte.
Mentre ti scorrono davanti tutte le scene dei suoi film, sale il panico. Quasi quasi chiedi l'aiuto da casa ma non hai tempo. Ti giri e inizi a pedinare Wenders tra turisti e sentimenti di soggezione e di attrazione. E una domanda: ma che gli dico?
Bisogna trovare una frase a effetto, la più brillante delle frasi possibili che abbia mai detto e che mai dirò.. fermare Wenders..sai quanta gente lo tampina e tutti gli dicono la stessa cosa..ma mica gli posso dire la cosa che gli dicono tutti...sì lo so che dicono tutti così...oddio mi devo impegnare...ma che gli dico?.."sono un'ammiratrice" è orribile.."ho visto tutti i suoi" film...ma poi sempre sti film...lui cammina e io lo impezzo coi film...è una condanna poveraccio..sai quanti fan..ma lei è Wim Wenders?...
Ah...insomma caro Wim, anche tu qui..no no..in inglese poi mi è più difficile fare le battute..mi prenderà per una deficiente...oh Wim se tu sapessi...no no sono pessima...
Faccio finta che non so chi sia e gli chiedo una sigaretta?..scusi Wenders, che ore sono?...no, ma che dico: Wim Wenders non può avere l'orologio.
Mentre inseguo Wenders con pensieri velocissimi su modalità per il miglior abbordaggio della storia dell'umanità e fantasie in cui già siamo insieme su una gondola a cantare e io faccio la seconda voce lui suona la fisarmonica, mi sveglio dalla trance, guardo la strada che qui non si chiama strada e mi accorgo di non vedere più Wenders.
L'ho perso tra la folla di uomini e donne di epoche e latitudini diverse. Non c'è più. Passa la maschera col mantello, passa il piccione, passa Goldoni, passa il mio vicino di casa, ma di Wenders nessuna traccia.
Sconforto.
Resto sola a guardare il cielo sopra V. e so che certamente tra poco verrà a piovere.

mercoledì 1 settembre 2010

Mobilit/azioni. Camminare

Per arrivare dalla città di B. alla città di V. bisogna prendere un pullman sul quale una volta scesi si giura sempre di non montare mai più, poi un autobus, un trenino, un aereo, un vaporetto di una lentezza imbarazzante a cui si rimedia con un "almeno da qui si vede la città" che però non basta se ti scappa una pipì mostruosa e tutto intorno è acqua a ricordare la crudeltà della tua vescica.
Una volta sbarcati nella città di V. si bacia la terra, si realizza che si sarebbe dovuti scendere alla fermata successiva, ma troppa acqua e troppa gente annoiata che non vedeva l'ora di parlare con te non permettono nemmeno un altro minuto da spendere sul battello ebbro.
"Ma allora perchè non hai preso il treno?" mi domanda il signore accanto a me a cui nel frattempo ho raccontato la mia vita mentre doppiamo il capo di Buona Speranza. Perchè ho architettato questa traversata da tempo per viaggiare in compagnia della mia amica V. la quale, proprio stamattina, mi ha mandato un SMS per dirmi di andare da sola inquanto sempre la mia amica V., nella zona di S., ha trovato la caletta e l'uomo della sua vita. Così sono rimasta a piedi.
E finchè la barca va.
Ad ogni modo, una piadina e un restyling acrobatico nel bagno di un bar ti consentono di lasciarti alle spalle i trasporti e le infrastrutture varie per continuare la traversata senza gli orpelli dei ferrotranvieri e simili.
Nella città di V. tutto si svolge spartanamente a piedi. Abitudine romantica, suggestiva, senza dubbio salutare e distensiva e bla bla bla , tuttavia al terzo giorno tutti questi kilometri puzzano più del pesce, dell'ospite e di certi canali off della stessa città di V. .
Adoro camminare, ma adoro ancor di più le cose fatte per scelta e non per imposizione: devo sapere che sul più bello posso sempre chiamare un taxi. Quanto costa un taxi nella città di V.? In base alle mie indagini socio-antropologiche sui tassinari locali il prezzo minimo è di 40 euro.
E' in questi momenti che vedo il nostro paese come una colonia di russi lussuosi, vips, viaggi di nozze terrificanti, giapponesi coi bustoni Chanel e gente che si sposa a V. secondo il modello matrimonio alla Beautiful. La città di V. è per i promessi sposi (no Renzo e Lucia!) seconda sola a Las Vegas.
Disinteressata ai Forrester, io resto a piedi. Un'altra volta.
A questo punto la scarpa, mio personale oggetto feticcio, diviene tristemente una problematica perchè, al sesto kilometro consecutivo, non c'è ballerina che non inizi seriamente a diventare un ostacolo. Se la scarpa col tacco non gareggia per ovvie ragioni, il campo si restringe: non porto scarpe con i lacci. Scarpe da ginnastica? Che significa questa parola?
Nella lunga marcia per le piccole strade a gomitolo della città di V. e lungo tratte e smarrimenti a cui partecipano la fantasia delle indicazioni dei passanti e le frecce del Monopoli a fare strada, in questo grande set cinematografico montato sull'acqua come una bolla senza rumore e senza tempo, l'incanto della fascinazione è rotto solo da una costante lacerazione esistenziale: il dolore ai piedi.
La città di V. prevede allora da copione l'acquisto di calzature bizzare: le galosce con l'acqua alta e il primo paio di scarpe che capita a tiro con la bella stagione. Così coi piedi palmati e all'ultima stazione della via crucis ho afferrato, prima di cade al suolo, delle pseudo-spadrillas in tessuto da me ribattezzate le Antonello da Messina per l'effetto che fanno addosso se abinate ai leggins.
Le Antonello da Messina non solo si sposano perfettamente con lo spirito del luogo e con l'attendibilità storica, ma consentono, inoltre, spostamenti senza velleità da fachiro. E questo è sicuramente l'unico sposalizio nella città di V. che non risulti di pessimo gusto.